Si intitola “Pink: The History of a Punk, Pretty, Powerful Color” la mostra che il Fashion Institute of Technology di New York sta spitando in questi giorni con grande successo. Interamente dedicata al colore rosa, per antonomasia simbolo dell’universo femminile, la mostra si ripropone di ripercorrerne la storia attraverso ottanta meravigliosi abiti couture. L’obiettivo è dimostrare che il rosa può essere non solo banalmente romantico, ma anche trasgressivo, eccentrico, sexy, shock.
Tra creazioni di grandi maison come Schiaparelli, Christian Dior, Yves Saint Laurent, Gucci, Moschino, Comme des Garçons si ricorda che il rosa è ancora zavorrato anacronisticamente a simbolo dell’universo femminile e del suo gender, una convenzione che fu adottata però solo agli inizi del Novecento, quando prima il colore simbolo era proprio il suo opposto, l’azzurro, oggi tipicamente indicante il gender maschile.
Il rosa era il colore più in voga alla corte del Re Sole e il più amato dagli aristocratici di tutto il mondo per interi secoli prima di essere ghettizzato perché ridicolmente legato a un gender nonché a una stucchevole estetica fairy tale.
Ancora oggi un uomo che si veste di rosa bene che gli vada viene considerato un dandy. Per tentare di abbattere, o quanto meno mettere in discussione, questa convenzione che prostra il rosa, legandolo a doppio filo sia a un discorso di gender che di banale romanticismo fiabesco, questa mostra suggerisce una prospettiva più ampia in cui inquadrare un colore che ha fatto la storia della moda e non solo femminile.